cosa fa l'alcol al nostro cervello?

di Chiara Lavitola, 26 Novembre 2022


Alcool. Quale adulto non ne hai mai fatto uso? Per quanto possiamo sicuramente annoverare tra le nostre conoscenze almeno un astemio (specie rara in via d’estinzione), dobbiamo proprio cedere di fronte alle stime del Global Health Observatory (GHO): beve il 70% degli italiani, il 71% degli statunitensi e quasi l’80% dei nordeuropei. La percentuale di persone facenti uso d’alcol, interessante, sale in longitudine, ma i maggiori picchi in assoluto sono in Svizzera, Germania, Irlanda e Lituania. 

Ora, tutti noi bevitori abbiamo sentito almeno una volta nella vita la fatidica frase “l’alcol fa male”. E, a parte il tedio delle ramanzine dei genitori quando eravamo adolescenti, in fondo lo sappiamo bene che è vero. Ma chi di noi sa veramente quali sono gli effetti dell’alcol sul cervello? Come possiamo difenderci o accusare una sostanza di essere così pericolosa se l’unica cosa che sappiamo è che “dopo le 2 di notte non succede mai niente di buono”? (grazie a chi ha colto la cit). 

In questo articolo faremo il punto sull’interazione alcol-cervello, partendo dal livello molecolare fino ad arrivare alle più serie e drammatiche patologie correlate. 

 I. IL SETTIMO FATTORE DI RISCHIO

Tra i fattori di rischio maggiori per la popolazione mondiale (secondo il report del Global Burden of Disease, 2019), l’assunzione di alcool si trovava al 7° posto. Questo significa che, potenzialmente, l’alcol è letale, sotto ad altri importanti fattori tra cui pressione arteriosa eccessivamente alta, fumo, inquinamento, obesità ed eccesso di zuccheri nel sangue. Ora, la frase “l’alcol è letale” di per sé non funziona. Non funziona primo perché non è vera, e soprattutto perché quella vena di proibizionismo che serpeggia tra la sintassi non ci piace affatto. Del resto, però, nessuno di noi si azzarderebbe a dire che “l’alcol fa bene”, o almeno speriamo. Dunque, come funziona la verità?

Quello che il report del Global Burden of Disease ci vuole dire è che in quanto a fattori di rischio si deve sempre considerare la sottile linea tra eccessi e moderazione. Quello che invece non ci soddisfa è l’assenza di una prospettiva scientifica globale, ma soprattutto l’assenza di una comprensione profonda dei rischi: a parte i comportamenti pericolosi correlati, quali sono le reali minacce dell’alcol quale sostanza di per sé? Quali sono i suoi effetti ad un livello molecolare e, successivamente, sistemico? In questo articolo li andremo, piano piano, a scoprire; così che affrontiate il prossimo aperitivo con una più (o forse meno) serena consapevolezza.


II. COME VIENE METABOLIZZATO L'ALCOL?

Quando partiamo dalla biologia c’è sempre un qualche processo noioso che va imparato a memoria. In questo caso, però, proveremo ad affrontarlo come un vero e proprio viaggio, quello che l’acol compie nel nostro corpo. 

Partiamo dal metabolismo: quando la sostanza alcol etilico viene ingerita, passa subito a stomaco ed intestino. Ma è al livello del fegato che la molecola di etanolo può essere degradata ad acetaldeide, attraverso vari sistemi: l’enzima più noto, a maggiore affinità per l’etanolo (e che dunque agisce immediatamente) è l’alcol deidrogenasi, insieme alla catalasi (che nel frattempo produce acqua dal perossido di idrogeno) e il sistema dei citocromi.  Da qui, l’acetaldeide deve essere ancora metabolizzata del tutto, trasformandosi in acetato, e a questo punto il ciclo è completo. Ovviamente, tutto ciò che non riesce ad essere metabolizzato finisce per entrare in circolo sanguigno ed esplicare gli effetti che tanto bene conosciamo.

Prima di passare al cervello, però, soffermiamoci un attimo sul fegato. Si sente spesso parlare di correlazione tra alcol e fegato, e una preview l’abbiamo avuta col metabolismo. Se i consumi di alcol rimangono limitati, il massimo che può succedere è l’accumulo di trigliceridi e altri acidi grassi, considerato perlopiù benigno; in casi di assunzione cronica, però, cominciano le magagne. Lo stadio avanzato di intossicazione del fegato viene detto steatosi e porta ad una progressiva infiammazione dell’organo. Quest’ultima poi, se protratta nel tempo, può condurre alla temibile cirrosi epatica e al carcinoma (Grewal P, 2012).

III. L'ALCOL E IL CERVELLO

Passiamo ora alla parte più interessante (solo per me, probabilmente), ovvero a come l’alcol agisce direttamente sul cervello. 

La molecola dell’alcol ha significative interazioni con i neurotrasmettitori del cervello: specialmente serotonina, GABA e glutammato. L’interazione con serotonina e dopamina provoca l’intensa sensazione di piacere associata alle bevute e rinforza il comportamento della dipendenza; ma gli effetti più sbalorditivi sono dati dal contatto con il circuito del GABA

Qui si parla di un neurotrasmettitore inibitorio: in sostanza, quello che fa il GABA è partire dai circuiti frontali per inibire determinate aree cerebrali, come l’amigdala. Avete presente tutti i comportamenti disinibiti che assumiamo a seguito di alcol? Soppressione della paura, senso di rilassatezza ed anestesia sono tutti sintomi del fatto che la molecola di etanolo sta incrementando i circuiti del GABA rendendo l’amigdala, il luogo di processamento della paura, meno reattivo. È per questo che all’assunzione di etanolo si associano numerosi comportamenti potenzialmente autolesionistici, come la guida in stato di ebbrezza o i comportamenti sessuali non protetti.

Anche la perdita del controllo motorio indica che l’alcol sta interagendo con il cervelletto tramite il circuito del GABA: questo produce, a lungo termine, anche il fenomeno dell’atassia motoria cerebellare (Jia Luo, 2015). 

Aggiungiamo una nozione farmacologica abbastanza interessante:  la cinetica del metabolismo. In farmacologia, la cinetica descrive la velocità con cui la sostanza viene metabolizzata e dunque eliminata dal corpo. Ci sono due tipi di cinetica: ordine zero e ordine uno. L’alcol appartiene all’ordine zero: sostanzialmente, il metabolismo NON è dipendente dalla quantità assunta. Sappiamo, ad esempio, che quando assumiamo mezzo litro di vino, il nostro povero enzima alcol deidrogenasi va a saturazione: non riesce più a lavorare. Con questa cinetica, anche se eccediamo il mezzo litro, il metabolismo resta lento come alla prima goccia.

IV. QUANTO ALCOL CREA DIPENDENZA?

Fin qui abbiamo parlato in maniera piuttosto astratta di quello che succede al nostro cervello, anche quando ci facciamo un paio di drink. Un compromesso accettabile, tutto sommato: qualche ora di sballo per i neurotrasmettitori e poi torna tutto a posto. Ma qual è il confine del pericolo

Oggettivamente, nessuno lo può dire con certezza: le variabili interindividuali sono davvero infinite. Quello che la Legge e le Istituzioni possono fare al riguardo è dare delle linee guida a cui attenersi, per contenere i danni. E, tutto sommato, conoscere i limiti è utile anche a noi. 

Il National Institue of Alcohol Abuse and Alcoholism (NIAAA) ha stabilito il limite di 4 drink al giorno per gli uomini e 3 per le donne, per rimanere sotto la soglia della dipendenza. Un limite che, effettivamente, ad un medio consumatore sembra abbastanza permissivo. Ciò non significa che se un uomo ogni giorno 3 drink e mezzo sarà libero da ogni male, anzi: prima di arrivare ad una suscettibilità elevata alla dipendenza ci sono tutti gli effetti di medio livello che abbiamo prima esaminato, di certo non un buongiorno per la salute.

Quello che succede oltre il limite è abbastanza sfuocato. Di norma, l’assunzione cronica ed eccessiva di alcol può condurre in primis ad una deficienza di tiamina. La tiamina è un cofattore nel metabolismo dei carboidrati, in particolare nella via dei pentoso-fosfati che converte il glucosio in ribosio-5-fosfato. Questo processo è fondamentale per un sacco di cose: la sintesi degli acidi nucleici, altri coenzimi, complessi di zuccheri. L’assenza di tiamina, dovuta all’assunzione cronica di alcol, può compromettere molte funzioni metaboliche essenziali (Peter R. Martin, 2003).

Ma passiamo allo scenario peggiore. In Medicina si parla di demenze associate al consumo di alcool (alcohol-related dementias, ARDs). Tra queste, menzioniamo la temibile sindrome di Wernicke-Korsakoff, che comporta perdite di memoria consistenti, con compromissioni del comportamento sociale e della routine quotidiana. Lo stadio delle demenze associate all’alcol è peraltro da associare ad un consumo di alcol cronico, in cui non solo rileviamo delle conseguenze fisico-patologiche, ma anche di natura psico-sociale. È questo aspetto, forse, quello più rilevante quando parliamo di alcool: non solo interferenze fisiche, ma anche sociali e psicologiche.

V. DUNQUE?

Da ciò che abbaiamo potuto vedere, l’acol non è soltanto uno svago, ma una potente droga. E non nel senso strettamente proibizionistico del termine, ma da un punto di vista scientifico, forse nella stessa accezione che in inglese si dà a farmaco: una sostanza d’uso e abuso, pericolosa quanto affascinante. 

Che gli uomini ricerchino l’alcool dagli albori della Storia non è una notizia nuova: dai baccanali alle storie narrate nell’Odissea, se il vino – seppure allungato con 10 misure d’acqua – è la bevanda prediletta persino dagli eroi omerici ci sarà un motivo. Senza contare l’importante empowerment sociale che una bevanda alcolica può dare a comizi e riunioni informali, che poi è anche il principale motivo per cui il suo consumo diventa facilmente abusato in persone con forte ansia sociale.

Il fatto che l’alcol, piuttosto che la cannabis, sia una sostanza legalizzata dai nostri governi non deve indurci nella pigra tentazione di credere che ci sia effettivamente una grande differenza. La pericolosità di una sostanza d’abuso sta, evidentemente, nella capacità individuale di maneggiarla. E se da un lato i governi tentano di dare limiti e norme, la maggiore arma è la nostra coscienza: non in senso morale, quanto piuttosto contenutistico. Nel caso di un problema complesso come questo, dobbiamo renderci conto che la stigmatizzazione e il proibizionismo sono nemici della conoscenza tanto quanto il liberalismo ingiustificato. 


Bibliografia e articoli per approfondire: